Contro la regola dei terzi

La regola dei terzi è forse il principio compositivo più conosciuto in ambito fotografico. Ma funziona davvero?

Regola dei Terzi
Fig. 1, Regola dei terzi

Il fotografo francese Henri Cartier-Bresson sosteneva che “fotografare è riconoscere, contemporaneamente e in una frazione di secondo, un fatto e l’organizzazione rigorosa delle forme percepite visivamente che esprimono e significano quel fatto“. Con ciò intendendo che la composizione dell’immagine assume efficacia espressiva, restituendo effetti di senso che integrano ciò che viene semplicemente descritto.

In questa ottica la regola dei terzi prevede di suddividere l’inquadratura in una griglia immaginaria composta da due linee verticali e due linee orizzontali equidistanti fra loro, i cui vertici sono ottenuti dividendo in tre parti uguali i bordi dell’inquadratura stessa (figura 1).

Se il soggetto di una fotografia viene collocato lungo uno dei segmenti o in corrispondenza di uno dei quattro punti di intersezione, si ritiene che l’immagine risulti più dinamica e armoniosa e che la posizione decentrata del soggetto gli conferisca maggiore risalto.

Inoltre, le due linee orizzontali dovrebbero servire da riferimento per collocare l’orizzonte (la linea di separazione tra cielo e terra o tra cielo e mare).

La regola dei terzi viene indistintamente applicata a qualsiasi formato fotografico, quadrato o rettangolare (2/3, 4/3, 16/9 ecc.).

La sua diffusione è ampia: menzionata nei corsi fotografici (soprattutto quelli introduttivi) ricorre di continuo sul Web e addirittura alcune macchine fotografiche permettono di visualizzare il reticolo nel mirino.

Ma quali sono i fondamenti di questa regola?

Di fatto la regola dei terzi non è altro che la semplificazione molto approssimativa di un principio estetico molto più articolato che si ricollega alla teoria della Sezione aurea.

La sezione aurea

La Sezione aurea (o Rapporto aureo o Proporzione aurea) è un concetto matematico e geometrico teorizzato nell’800 e noto fin dall’antichità (Euclide ne parla nei suoi scritti).

Matematicamente la Sezione aurea è data dal rapporto fra due lunghezze diseguali delle quali la maggiore (a) è medio proporzionale tra la minore (b) e la somma delle due ( a + b ). Il risultato di questo rapporto è un numero irrazionale (cioè una frazione continua infinita) identificata con il valore φ = 1,6180339887… (normalmente approssimato a 1,618)

(a+b) : a = a : b =  φ φ = 1,618

Sezione Aurea
Fig. 2, Sezione aurea

Nell’esempio in figura 2 il segmento “a” è sezione aurea di “c”. Una curiosa proprietà della sezione aurea è che la sezione aurea della sezione aurea di un segmento è il segmento residuo. Nell’esempio precedente il segmento “b” è la sezione aurea di “a”.

In questo contesto un poligono rilevante è il rettangolo aureo, caratterizzato dal fatto che i suoi lati stanno fra loro nel rapporto aureo φ = 1,618. Graficamente è possibile costruirlo col procedimento illustrato in figura 3.

Rettangolo aureo
Fig. 3, Rettangolo aureo: partendo dal quadrato di base “a” si riporta il segmento “c” (che unisce il punto medio della base “a” con un vertice non adiacente) sul prolungamento di “a”. Il rettangolo ottenuto ha base “a+b” e altezza “a”.

La prima proprietà del rettangolo aureo è l’autosimilarità, che dipende proprio dal fatto che la sezione aurea della sezione aurea di un segmento è il segmento residuo. E’ infatti possibile suddividere il rettangolo aureo in una serie di rettangoli minori, incapsulati uno nell’altro, per definizione tutti simili tra loro. I rettangoli sono sempre più piccoli e tendono a convergere asintoticamente verso un unico punto, coincidente con l’intersezione delle diagonali dei primi due rettangoli aurei della serie, come in figura 4.

Spirale aurea
Fig. 4, Rettangolo aureo, proprietà dell’auto= similarità e Spirale aurea

All’interno del rettangolo aureo è possibile inscrivere una spirale logaritmica (detta spirale aurea): una curva che si avvolge infinite volte attorno ad un punto fisso senza mai autointersecarsi. Questo punto coincide con l’intersezione delle diagonali dei due rettangoli aurei maggiori già mostrati in figura 4.

La successione di Fibonacci

Il valore φ = 1,618 può essere approssimato con crescente precisione anche effettuando il rapporto fra i termini consecutivi della successione di Fibonacci (dal soprannome “Filius Bonacci” del matematico Lonardo da Pisa che la teorizzò nel 1202).

Si tratta di una sequenza di numeri interi positivi in cui ciascun valore a cominciare dal terzo è la somma dei due precedenti.

La successione di Fibonacci è una progressione geometrica (cioé una
sequenza di numeri tali che il rapporto tra un termine ed il suo precedente rimane costante). I primi termini della serie sono: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144… ecc. Il loro rapporto tende alla costante φ man mano che i valori crescono.

Proprietà della Sezione aurea

La sezione aurea sembra godere di qualità davvero singolari.

In natura il rapporto aureo compare nei contesti più disparati. Per esempio nel meccanismo di crescita delle conchiglie o nella “fillotassi”, l’ordine con cui le varie entità botaniche si distribuiscono nello spazio: così le foglie sui rami o i semi nei girasoli, oppure la struttura delle pigne e dei cavoli. La proporzione aurea è presente anche nel corpo umano: per esempio, in un corpo atletico, il rapporto della lunghezza del braccio e dell’avanbraccio, oppure dell’altezza e della misura all’ombelico.

Nel linguaggio estetico l’essenza della sezione aurea è strettamente connessa con il concetto di proporzione e introduce l’idea di una qualità che accomuna tutti i rapporti che la compongono: una relazione ordinata e permanente tra le singole grandezze, in cui ogni parte è correlata armoniosamente alle altre e a tutto l’insieme.

In effetti nel corso dei secoli le proporzioni auree sono state variamente impiegate in architettura, pittura e anche nella musica per realizzare correlazioni ordinate armoniosamente e ripetute ritmicamente.

Alcuni studi psicologici (tra i quali quelli di Gustav Fechner nell’800) hanno rilevato una tendenza inconscia verso l’apprezzamento della proporzione aurea e in particolare del rettangolo aureo come canone di armonia estetica.

In questa ottica la teoria della sezione aurea sembra affine alla psicologia della Gestalt e alle analisi sulle modalità umane di percezione della realtà. Apparentemente il nostro sistema visivo articola le diverse parti  che  compongono  una  scena in funzione dei fattori che agevolano l’unificazione degli elementi in un tutto: l’insieme è quindi più della somma delle singole parti.

La sezione aurea nella composizione fotografica

In ambito compositivo l’impiego della sezione aurea è utile per definire l’organizzazione formale dell’immagine.

Non si tratta solo di distribuire gli elementi compositivi (luce, colore, forma) nell’inquadratura, ma di dimensionarli secondo proporzioni armoniose, creando relazioni tra gli oggetti stessi.

Tra i formati fotografici, quello che più si avvicina al rettangolo aureo è il formato rettangolare 2/3, anche se con una certa approssimazione (è il formato 24×36 della pellicola 35mm). Le sue misure ricorrono fra i primi numeri della successione di Fibonacci.

Fig. 5, bisettrici, diagonali, sezioni auree.

Sfruttando i principi della sezione aurea è possibile suddividere l’inquadratura in campiture, che si ottengono tracciando
molteplici linee guida o linee di forza. In Fig. 5 sono tracciate le linee guida più intuitive: le diagonali, le bisettrici e i segmenti corrispondenti alle sezioni auree dei quattro lati. Nella figura 6 il punto “a” corrisponde al punto di fuga della spirale aurea (come si è visto in figura 4) e gode di un particolare rilievo compositivo, così come le aree triangolari racchiuse dalle due diagonali evidenziate in blu.

Fig. 6, il punto “a” corrisponde al punto di fuga della spirale aurea e coincide con l’intersezione delle diagonali dei primi due rettangoli aurei

E’ poi possibile scomporre l’inquadratura tramite combinazioni più sofisticate di linee guida, alcune delle quali sono tracciate in Fig. 7.

Fig. 7, Scomposizione dell’inquadratura tramite linee di forza

Alcuni esempi di utilizzo della sezione aurea

L’impiego della sezione aurea in fotografia è particolarmente riconoscibile nell’opera di Henry Cartier Bresson, che in gioventù era stato allievo del pittore e teorico dell’arte André Lothe e aveva inizialmente intrapreso la carriera di pittore.

Le sue immagini sono abitualmente scattate in contesti pubblici e con soggetti non in posa: per Cartier Bresson la sezione aurea è un riferimento compositivo istintivo.

La fotografia in Fig. 8 ci mostra due uomini sdraiati sul prato. La misteriosa relazione tra questi due individui è stimolata sia sul piano formale che immaginifico da un disegno geometrico di straordinaria perfezione, che ne costituisce il fondamento espressivo.

In effetti i soggetti raffigurati sono abilmente disposti all’interno di un triangolo scaleno, i cui lati obliqui sono i segmenti che uniscono i due vertici alla base dell’inquadratura con la sezione aurea del lato superiore. In questo modo il nostro sguardo, percorrendo l’immagine, ricostruisce una “regolarità” dove non è abituato a trovarne.

Fig. 8, H. Cartier Bresson, Marseille, France, 1932

Spiegava Cartier Bresson che la geometria “somiglia a ciò che matematici e fisici chiamano eleganza, quando discutono di una teoria. Se un approccio è elegante forse sta avvicinandosi al vero“.

Nella fotografia in Fig. 9 l’accentuato dinamismo dell’immagine è ottenuto ruotando sensibilmente la verticale verso destra e componendo l’immagine secondo proporzioni che richiamano i dettami della sezione aurea.

Fig. 9, H. Cartier Bresson, Rue Mouffetard, Paris, 1954

Nella fotografia in figura 10 è interessante notare la collocazione obliqua dell’orizzonte, lungo un asse che congiunge il punto medio del lato sinistro con il vertice superiore destro. Questo permette di riempire l’immagine con il soggetto (la coppia che si ripara dal sole, anch’essa racchiusa in una figurazione geometrica) trovando una solida e armoniosa geometria.

Fig. 10, H. Cartier Bresson, Dieppe, 1926

Contro la Regola dei terzi

Possiamo quindi affermare che la cosiddetta regola dei terzi altro non sia se non una banalizzazione della teoria della sezione aurea, ridotta a un generico schematismo grafico. “Ciò che chiunque può fare in modo semplice o in base a una regola, non è creativo”, insegnava Arthur Wesley Dow, pittore e pioniere della didattica artistica.

L’applicazione pedissequa della regola dei terzi incastona i soggetti in un rigido linearismo ortogonale, con il rischio di inquadrature frontali, piatte e disarmoniche. I soggetti sono bloccati in posizioni rigide, verticali oppure orizzontali e le fotografie, tutte impostate allo stesso modo, sono simili le une alle altre. Anche il formato fotografico è del tutto ignorato: quello rettangolare, per esempio, è per sua natura più dinamico del formato quadrato. Astraendo da una visione compositiva d’insieme, il preteso dinamismo e l’accento sul soggetto rischiano invece di boicottare la struttura dell’inquadratura e il senso stesso di ciò che viene ritratto.

E’ intuitivo comprendere i limiti della regola dei terzi osservando alcuni esempi ricavati dagli innumerevoli siti web che divulgano in modo acritico la norma.

Fig. 11, immagine tratta dal Web e rielaborazione dell’autore.

Nel ritratto in figura 11 il soggetto è collocato sulla verticale di sinistra, nel rispetto della regola. Visivamente questa collocazione rappresenta un invito ad indagare la porzione destra dell’immagine, che è però un grande vuoto sfuocato dove l’osservatore non trova nulla. Nell’insieme l’immagine risulta sbilanciata, piatta e trasmette un senso di desolazione.

La stessa inquadratura potrebbe acquisire una motivazione grafica qualora si dovesse inserire un testo nello spazio libero a destra, per esempio nel caso di un’immagine pubblicitaria (fig. 12).

Fig. 12, Utilizzo di una fotografia per finalità grafiche (Rielaborazione dell’autore)

La fotografia in figura 13 è costruita su una successione di linee orizzontali parallele, che creano un’inquadratura frontale e statica, con un effetto complessivo quasi astratto. Questa scelta compositiva è rinforzata dal posizionamento dell’orizzonte in prossimità della linea mediana.

Il soggetto (un gommone, anch’esso raffigurato frontalmente) è invece localizzato all’estrema destra: questa soluzione contraddice l’impostazione dell’immagine e rompe il suo equilibrio.

Regola dei Terzi
Fig. 13 applicazione decontestualizzata della Regola dei terzi

Spostando il soggetto in posizione più centrale, come nella rielaborazione in figura 14, l’insieme ritrova equilibrio. Anche le boe in lontananza, che prima sembravano corpi estranei, paiono giustificare la loro presenza, accompagnando lo sguardo verso l’orizzonte.

Fig. 14 Ricollocamento del soggetto in posizione centrale (Elaborazione dell’autore)

La figura 15 illustra invece un altro caso in cui la regola dei terzi è applicata forzatamente a una fotografia. Questo esempio è ripreso da uno dei tanti articoli pseudo-didattici presenti in Internet.

Figura 15, Regola dei Terzi, applicazione forzata, i riquadri non sono omogenei

Sorprende notare come nessun elemento rilevante dell’immagine corrisponda alle linee e agli incroci del reticolo dei terzi, tanto che è stato aggiunto un rettangolo posticcio per porre rimedio. Ancor più sconcertante è l’errata suddivisione dei terzi: ogni sezione ha infatti dimensione diversa, come evidenziano le parentesi graffe (di pari lunghezza) affiancate al lato destro.

Alcuni (buoni) esempi di composizione fotografica

Nella fotografia “Big Face, Big Buttons”, scattata nel 1955 dal fotografo americano William Klein, una figura femminile è ritratta in primo piano e occupa quasi l’intera inquadratura. Il soggetto è fortemente sfocato e addirittura non si distinguono gli occhi. Nondimeno l’immagine risulta sensuale, misteriosa e molto dinamica, e rende perfettamente l’idea di un’impressione, un incontro fugace in mezzo alla folla.

Fig. 16 William Klein, “Big Face, Big Buttons (Saint Patrick’s Day, Fifth Avenue)”, 1955

In realtà una delle tecniche utilizzate dagli artisti per la rappresentazione dinamica del movimento in immagini statiche è proprio la sfocatura dell’immagine, che, in connessione con il fenomeno della persistenza retinica, riproduce la modalità di percezione dell’occhio umano (cfr. James E. Cutting, 2002).

Fig. 17 Bruce Davidson: New York City, 1980, Subway (Magnum Photos)

La fotografia in figura 17 è invece un’immagine scattata dal fotografo americano Bruce Davidson ed è tratta dalla serie Subway del 1980. In questa fotografia sono ritratte persone accalcate in un vagone della metropolitana che si reggono saldamente a un palo di sostegno. L’evidente dinamismo è ottenuto sfuttando un insieme di accorgimenti visivi: l’inquadratura è leggermente disassata verso sinistra, la fotografia è basata su un forte contrasto di luce ed è presente un’articolata interazione lineare.

Figure accavallate in modo tumultuoso emergono dal buio nella porzione centrale dell’immagine, racchiuse in una sorta di figura geometrica romboidale. La luce guida lo sguardo dell’osservatore in un movimento circolare che alterna zone chiare ad aree completamente buie. Questa lettura sincopata dell’immagine trova un punto fermo nell’occhio della ragazza , mentre più in alto una mano emerge dal buio e sembra quasi un pugno che sta per colpire l’esservatore. Sulla sinistra la luce corre lungo la manica della passeggera accompagnando il nostro sguardo verso un volto femminile seminascosto e poi di nuovo indietro contro il viso della ragazza, che pare schiacciarsi contro il palo. In alto numerose linee luminose disposte a raggio accentuano il senso di movimento.
L’occhio della ragazza, infine, occupa una posizione che sembra proprio coincidere con l’intersezione dei segmenti tracciati lungo le sezioni auree dei quattro lati.

Fig. 18 Linee di forza: rielaborazione dell’autore.

Nella successiva immagine (fig. 19), sempre opera di Bruce Davidson, l’uomo con gli occhiali è decentrato a sinistra non per rispetto di una regola, ma per lasciare spazio, a destra, alla figura in basso dallo sguardo indagatore. Lo spazio a destra è inoltre riempito dalle braccia dei pendolari, che collegano ritmicamente lo sguardo dell’osservatore con l’uomo sulla sinistra.

Fig. 19 Bruce davidson: New York City, 1980, Subway (Magnum Photos)

Infine, la sensuale ed elegante fotografia nella figura 20, ancora di Bruce Davidson, è saldamente imperniata sulla centralità della donna vestita di giallo. Le tre figure femminili sono disposte lungo le linee prospettiche che conducono all’orizzonte. La fotografia è bilanciata, a sinistra, dal panorama sulla strada sottostante, che suggerisce un’ipotetica diagonale fino all’angolo in basso a destra. Questo intreccio lineare movimenta l’immagine e permette all’osservatore di percorrerla in tutte le direzioni. Da notare la porzione di casa inclusa nell’inquadratura a sinistra: la sua verticalità riprende quella delle figure femminili e la sua presenza impedisce all’occhio dello spettatore di uscire dall’inquadratura.

Fig. 20 Bruce Davidson: New York City, 1980, Subway Platform (Magnum Photos)

In conclusione

L’inquadratura fotografica è una cornice al cui interno forme, luce, colore e spazio devono essere opportunamente combinate per conferire il senso all’immagine. La composizione fotografica costituisce “un vero e proprio campo tensivo in cui l’occhio dell’osservatore viene guidato in un percorso del quale si percepisce il ritmo e la struttura“, come spiega il saggista Dario Mangano. Gli elementi compositivi operano quindi in modo organico al contesto espressivo: non solo i singoli elementi contenuti in un’immagine contribuiscono a trasmettere il suo significato, ma anche le loro caratteristiche (sfocatura, collocazione, sovra-sotto esposizione, colore ecc.).

In un’intervista del 2007 in merito alle caratteristiche di una buona immagine Henri Cartier-Bresson afferma: “spero che non arrivi mai il giorno in cui la sezione aurea si troverà incisa negli obiettivi o sarà possibile comprare delle mascherine da applicare sui mirini delle macchine fotografiche“…

In effetti il rispetto ottuso di una singola regola può condurre a esiti assurdi. Le immagini riprodotte nella Fig. 21, apparse in internet a corredo di un articolo amatoriale, vorrebbero illustrare come applicare la regola dei terzi. L’autore dell’articolo afferma: “La foto 2 è un esempio tipico di come un fotoamatore alle prime armi inquadra il soggetto. La foto 3 mostra l’applicazione della regola dei terzi“. Non credo occorrano commenti oltre a confidare nel buon senso dei fotografi alle prime armi

Fig. 21 illustrazione a corredo dell’articolo “Dalle nozioni tecniche alla composizione dell’immagine” che descrive l’applicazione della regola dei terzi (da internet)